Google ha annunciato la cessazione dei suoi obiettivi di assunzione incentrati sulla diversità. Unendosi così ad una lunga lista di aziende che stanno ridimensionando le loro iniziative di “Diversità, Equità e Inclusione” (DEI). Questa decisione segue un ordine esecutivo del Presidente Donald Trump che mira ad eliminare i programmi DEI sia nel governo federale che tra i suoi appaltatori.
Google dice basta alla DEI (Diversity, equity and inclusion)
Nel 2020 Google aveva fissato l’obiettivo di aumentare del 30% entro il 2025 la rappresentanza nelle posizioni di leadership di alcuni gruppi storicamente sottorappresentati. In una recente comunicazione ai dipendenti l’azienda ha però dichiarato che non perseguirà più questi obiettivi e che le sue politiche DEI sono in fase di revisione.
L’intenzione dichiarata è quella di creare un ambiente di lavoro in cui tutti i dipendenti possano avere successo e avere pari opportunità. I programmi di assunzione sono stati quindi modificati per raggiungere questo obiettivo.
La rimozione degli obiettivi di assunzione per la diversità da parte di Google è stata evidenziata nella sua recente relazione annuale alla SEC (Securities and Exchange Commission) degli Stati Uniti. Documento dove è stata omessa una precedente dichiarazione di impegno ispirati appunto dalla DEI. La compagnia ha inoltre di rispondere a recenti decisioni giudiziarie e ordini esecutivi che influenzano gli appaltatori federali.
Le iniziative delle altre aziende
L’iniziativa di Google riflette una tendenza più ampia tra le grandi aziende statunitensi. Meta, Amazon, Walmart, Target e McDonald’s sono tra le altre realtà che hanno recentemente ridotto o eliminato le loro iniziative DEI. Queste scelte sarebbero dovute in parte a pressioni politiche e legali. Inclusi degli ordini esecutivi dell’amministrazione Trump che mirano a porre fine ai programmi DEI nel governo federale e a scoraggiare tali pratiche tra chi lavora per esso.
La riduzione delle iniziative DEI ha suscitato critiche da parte di gruppi per i diritti civili. Esse sostengono infatti che tali decisioni potrebbero minare decenni di progressi nella promozione delle pari opportunità di lavoro e nell’affrontare la discriminazione.