Dopo la Francia anche l’Italia ha deciso di introdurre una propria versione della Web Tax anticipando quelle che in futuro saranno, probabilmente, le decisioni dell’Unione Europea. Nell’ultima bozza della manovra finanziaria è infatti presente il riferimento ad un’imposta del 3% (in alcuni casi si è parlato del 6%) da applicare ai fatturati della aziende che operano sull’Internet nostrano, indipendente dal Paese che ospita la sede legale.
Diverse le reazioni all’annuncio di questa nuova tassa, quasi tutte negative, a cominciare da quella dei vertici di Anitec-Assinform. A parere dell’associazione che rappresenta le imprese high tech e delle telecomunicazioni all’interno di Confindustria, essa potrebbe pregiudicare il livello di competitività degli operatori di settore.
L’idea è che anche se la Web Tax dovresse essere indirizzata soltanto alle grandi multinazionali, essa potrebbe comunque danneggiare le realtà piccole e medie che utilizzano piattaforme e servizi offerti da queste ultime. Stesso discorso per i consumatori plausibilmente destinati a sopportare l’onere della Web Tax in termini di maggiori costi.
Preoccupazione anche da parte delle società controllate dallo Stato, questo perché la bozza prevedrebbe di estendere la Web Tax a chi fornisce interfacce digitali destinate all’interazione tra utenti con lo scopo di erogare direttamente beni e servizi. In questo caso i soggetti interessati potrebbero essere molti di più rispetto ad Apple, Google, Facebook e altri giganti generalmente citati in riferimento all’imposta.
Andrebbero poi citate tutte quelle aziende che utilizzano soluzioni di terze parti per attività di e-commerce (come per esempio il market place di Amazon), società non sempre di grandi dimensioni che potrebbero essere sottoposte ad una fiscalità più severa e con tutta probabilità dannosa ai fini dello stimolo all’innovazione.