Lo scraping è una tecnica di sottrazione dei dati da una piattaforma online che consiste nel prelevare le informazioni senza violare alcun database. Un apposito bot si occupa invece di effettuare il parsing automatico delle pagine alla ricerca di informazioni personali pubbliche, come per esempio email, numeri di telefono e altri elementi che possano portare all’identificazione di un utente.
Tra i servizi che in passato hanno subito attività basate sullo scraping vi sono per esempio Facebook e il social network professionale LinkedIn, proprietà della Casa di Redmond, quest’ultimo ha addirittura dato vita ad un’azione legale nei confronti di una realtà concorrente, la hiQ Labs, accusata di appropriarsi indebitamente dei dati raccolti nel corso degli anni.
La vicenda ebbe inizio nel 2017, quando i responsabili di LinkedIn decisero di rivolgersi ad un giudice che in modo che hiQ Labs nono potesse più accedere alla piattaforma con lo scopo di prelevare informazioni sugli iscritti. Per difendere le proprie ragioni i legali del gruppo ora controllato da Microsoft avevano fatto riferimento ad un provvedimento del 1986, il Computer Fraud and Abuse Act.
Con esso è stato introdotto il divieto di accedere ai terminali altrui senza autorizzazione, ma dato che i dati al centro della diatriba sono pubblici hiQ Labs riuscì ad ottenere la vittoria in appello. In sostanza se LinkedIn avesse bloccato l’azienda avversaria si sarebbe creato un ostacolo alla libera concorrenza, potersi iscrivere al social network rappresenterebbe infatti di per sé un consenso alla visualizzazione delle informazioni disponibili.
Ora però, in seguito ad un ricorso di LinkedIn, la Corte Suprema avrebbe richiesto alla Corte d’Appello di riesaminare il caso, questo perché il Computer Fraud and Abuse Act era nato per disciplinare una realtà ancora molto lontana dall’era dei social network. Non è un caso che tale provvedimento sia stato più volte criticato dalla EFF (Electronic Frontier Foundation) perché considerato ormai inadeguato.