Pensando ad una società tecnologicamente avanzata come quella giapponese nessuno si aspetterebbe un utilizzo molto diffuso dei floppy disk da parte delle sue istituzioni. Eppure le cose starebbero proprio così, tanto che Taro Kono, Ministro degli Affari Digitali nominato ad agosto, avrebbe deciso di intervenire per cambiare la situazione.
Secondo uno studio reso pubblico dallo stesso dicastero, attualmente in Giappone i floppy disk verrebbero utilizzati per l’espletamento di circa 1.900 procedure istituzionali. La permanenza di questi supporti determinerebbe da una parte il rallentamento della macchina burocratica e dall’altra un rischio per l’integrità e la conservazione dei dati.
Oltre a quello dei floppy disk vi sarebbe un uso ancora esteso dei CD e persino dei MiniDisc, parliamo quindi di abitudini estremamente datate se si considera che, ad oggi, è praticamente impossibile trovare sul mercato un PC la cui configurazione hardware presenti anche un lettore per questo tipo di supporti. A ciò si aggiunga la resistenza ad abbandonare l’utilizzo del fax.
La cultura giapponese è molto lontana dalla nostra, le sue peculiarità e le sue tradizioni non hanno comunque impedito al Paese asiatico di diventare un esempio di Digital Transformation, nonostante ciò andrebbe ricordato che Yoshitaka Sakurada, ex ministro della Cybersecurity, rivelò nel 2019 di non aver mai toccato un computer in tutta la sua vita.
A parziale giustificazione del Giappone (si fa per dire) è comunque bene ricordare che fino a 3 anni fa il Governo degli Stati Uniti utilizzava dei dischi da 8 pollici per tutte le operazioni legate alla gestione delle testate nucleari. Tali supporti venivano letti tramite un minicomputer a 16 bit IBM Serie 1 che venne lanciato per la prima volta nel 1976.