Quanto successo recentemente in India dimostra ancora una volta come le piattaforme tecnologiche non siano sempre in grado di garantire la
Tutto sarebbe iniziato quando un’insegnante ha deciso di rivolgersi ad un tribunale indiano per denunciare la diffusione senza alcuna autorizzazione di alcuni suoi contenuti protetti da
Il giudice non avrebbe soltanto riconosciuto come valide le ragioni dell’insegnante ma anche ordinato la pubblicazione online dei nomi e dei numeri gli amministratori dei canali coinvolti. Questi ultimi si sarebbero naturalmente opposti a tale decisione, ritenendola lesiva della propria privacy, ma le loro proteste non sarebbero state accolte.
Ora, perché quanto successo in India dovrebbe preoccupare gli utenti di altri Paesi? Perché le persone condannate risiederebbero a Singapore, nazione dove una sentenza di questo genere non sarebbe possibile in quanto non prevista dalla legge. Il fatto che si trattasse di cittadini esteri non avrebbe influito in alcun modo sul pronunciamento del tribunale.
Inoltre, chi ha fornito i dati degli utenti alle autorità indiane? Da parte loro i responsabili di Telegram non avrebbero confermato alcun coinvolgimento ma si sarebbero limitati ad affermare che la nota applicazione per la messaggistica conserva soltanto una piccola quantità di dati dei propri utenti e spesso tali informazioni non sono accessibili neanche dai gestori stessi.