La mancata Digitalizzazione di un gran numero di aziende italiane, soprattutto di piccole e medie dimensioni, nel corso dell’emergenza pandemica che ha caratterizzato buona parte del 2020 e del 2021 potrebbe costare la loro chiusura. E’ quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori del Svimez-Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere.
Per la rilevazione sono state prese in analisi circa 4 mila aziende del manifatturiero e dei servizi con un numero di dipendenti compreso tra le 5 e le 499 unità. Tra le conclusioni è osservabile una forte componente di rischio che dovrebbe riguardare in particolare le attività economiche operanti nel Centro del Paese e nel Mezzogiorno.
Se le stime effettuate dovessero trovare corrispondenza nella realtà ben 73.200 imprese potrebbero presto chiudere definitivamente i battenti in quanto non più competitive o già in difficoltà, parliamo quindi del 15% delle aziende nostrane al di sotto dei 500 addetti. Di queste ultime 19.900 sarebbero localizzate nel Meridione e altre 17.500 al Centro dello Stivale.
Relativamente ai settori di riferimento è utile osservare come le aziende che operano nei servizi sarebbero molto più a rischio rispetto a quelle attive nel manifatturiero (17% delle prime contro il 9% delle seconde). Nel complesso però quasi la metà, il 48%, delle imprese della Penisola potrebbero essere definite fragili e quindi a rischio.
Tra le criticità individuate vi sarebbero soprattutto la mancata innovazione dei processi produttivi così come di quelli che coinvolgono l’organizzazione aziendale e il marketing. Se da una parte nel Nord Est e Nord Ovest del Paese l’emergenza pandemica avrebbe portato ad una corsa alla Digitalizzazione, in altre realtà d’Italia si sarebbe optato in modo poco lungimirante per la conservazione dello status quo.