Il GDPR (General Data Protection Regulation), cioè la nuova normativa europea sul trattamento e la protezione dei dati personali, ha costretto gli operatori del settore pubblicitario ad adeguamenti tecnici e legislativi spesso onerosi. Alcuni hanno optato per strumenti sviluppati internamente, altri hanno preferito rivolgersi a soluzioni di terze parti.
Particolarmente interessante il caso di chi ha deciso di utilizzare una CMP (Consent Management Platform), in pratica un servizio per la gestione dei consensi forniti dagli utenti per la fruizione dell’advertising. A parere di Mediavine, società specializzata in soluzioni per la monetizzazione, quest’ultima si sarebbe rivelata la soluzione più performante dal punto di vista dei ricavi.
Nello specifico, gli editori che si sono dotati di una CMP avrebbero registrato fill rate (livelli di occupazione degli spazi pubblicitari) e CPM (costo per mille impression) superiori rispetto a quelli della concorrenza. Le misurazioni effettuate riguarderebbero il periodo compreso tra marzo e luglio 2018, cioè quello a ridosso dell’applicazione del GDPR.
Relativamente alle percentuali, sarebbe stato osservato un aumento di 5 punti a favore del fill rate e di 9 per il CPM. Contestualmente, gli operatori che hanno deciso di rivolgersi a soluzioni alternative alle CMP avrebbero assistito a decrementi che, nei casi peggiori e per gli annunci non targettizzati, avrebbero raggiunto il 34% per il fill rate e il 43% per il CPM.
Da questo punto di vista sembrerebbe che l’entrata in vigore della normativa unita al ricorso alle CMP abbia favorito diverse aziende. Numerosi infatti sarebbero stati i casi in cui gli editori avrebbero beneficiato di un incremento di quasi il 50% per il fill rate e di oltre il 50% per il CPM dopo l’applicazione del GDPR.