Dopo un 2017 in crescita costante il Bitcoin sta ora registrando impressionanti oscillazioni con tendenza al deprezzamento; arrivata quasi alla soglia dei 20 mila dollari per esemplare, la più famosa delle cryptovalute sembrerebbe ormai faticare a superare quella dei 12 mila dollari. E’ forse troppo presto per parlare dell’esplosione di una bolla speculativa, ma l’attuale situazione starebbe già creando i primi effetti negativi.
A pagare il costo dell’instabilità del Bitcoin sarebbero ad oggi tutte le altre monete virtuali che nel corso degli ultimi mesi hanno approfittato dell’hype creato dalla sua crescita; sono così crollati i prezzi Ripple, Ethereum, Litecoin, Dash e Monero, probabilmente a dimostrazione che nessuna di esse rappresenta una divisa rifugio durante i momenti di crisi.
In secondo luogo i paesi intenzionati a porre un freno alla febbre da cryptovaluta sembrerebbero essere sempre di più, a partire dalle economie asiatiche. Tra queste ultime basterebbe citare la Cina, ormai decisa a bloccare sia il trading che il mining, la Corea, schierata contro gli exchange locali e, più vicino a noi, la Russia.
Un effetto curioso dell’attuale stato di cose sembrerebbe essere la rapida disaffezione nei confronti del Bitcoin da parte dei cyber-criminali. Fino a poche settimane fa, infatti, gran parte dell’economia digitale illegale tendeva a preferire le transazioni basate sul Bitcoin grazie all’elevato livello di anonimato garantito dalla piattaforma.
A tal proposito è possibile fare riferimento ai gestori di Necurs, una delle più grandi spam botnet attualmente operanti in Rete, ormai convinti sostenitori dell’alternativa Swisscoin, e ai virus writers di svariati ransomware che avrebbero deciso di rinunciare ai pagamenti in Bitcoin per tornare ai riscatti in dollari americani.