Secondo una recente rilevazione operata da Netcomm, Consorzio del Commercio Elettronico Italiano, ad oggi l’e-commerce nel Belpaese rappresenterebbe non più del 4% delle vendite prodotte dalle attività economiche nostrane, mentre le imprese che vendono online nella Penisola sarebbero appena 40 mila in un panorama europeo composto da più di 750 mila operatori attivi sul digitale.
Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, avrebbe evidenziato come attualmente si starebbe assistendo a un rilevante interesse delle imprese, e soprattutto del Made in Italy e della grande distribuzione, intenzionate a sfruttare le opportunità che l’e-commerce può offrire in un contesto economico in cui i modelli di business e di vendita tradizionali vengono messi in discussione da tendenze economiche recessive.
Per contro il commercio elettronico del Made in Italy manifesterebbe difficoltà di crescita oltre confine, sarebbero quindi necessarie soluzioni legislative volte alla semplificazione normativa; nel contempo la Penisola dovrebbe attivarsi per la redazione di accordi bilaterali con i paesi esteri e per favorire l’inserimento dei giovani nelle realtà aziendali maturando competenze utili all’esportazione via Web.
Sempre a parere di Liscia, per superare l’attuale rigidità normativa le istituzioni italiane dovrebbero lavorare a livello europeo e collaborare con la Commissione impegnata nella revisione delle direttive che disciplinano le vendite a distanza e l’e-commerce, la legislazione sui prezzi e sulla concorrenza sleale nonché la tutela del consumatore anche contro la pubblicità ingannevole.
Netcomm propone inoltre di rivedere la normativa fiscale in tema di accise per l’esportazione del vino così come la procedura per l’iscrizione nel VIES (VAT Information Exchange System) e la regolamentazione del Codice del Consumo (ad esempio l’art. 51) che costringono le imprese italiane a fronteggiare oneri informativi e per la raccolta del consenso da parte dei consumatori inadatti al commercio elettronico.