Lo Zhongguó Rénmín Yínháng, in pratica la Banca Popolare Cinese che è anche la banca centrale della Repubblica Popolare Cinese, ha deciso di vietare definitivamente tutte le transazioni operate in cryptovaluta sul territorio nazionale. I cittadini del Paese più popolato del mondo non potranno più effettuare alcun pagamento in bitcoin o altre monete digitali.
Per uno stato come quello di El Salvador che ha voluto rendere bitcoin la sua seconda moneta ufficiale dopo il dollaro statunitense, ve ne sarebbe quindi un altro le cui autorità non vogliono avere nulla a che fare con le cryptovalute. La Cina ha però un peso molto più rilevante di quello della piccola repubblica dell’America Centrale.
La decisione della Cina ha colpito duramente anche le altre monete virtuali
Inutile dire quindi che tale iniziativa ha avuto un effetto devastante a danno del valore di diverse divise virtuali: bitcoin e dogecoin hanno perduto oltre il 10%, ethereum il 10% e cardano il 5.5%. Ad oggi il valore del bitcoin si attesta notevolmente al di sotto dei 40 mila euro ma è noto quanto questa cryptovaluta sia esposta a fluttuazioni.
Diversi analisti (forse estremamente ottimisti visti gli ultimi sviluppo) avevano ipotizzato che bitcoin potesse superare quota 100 mila dollari entro l’anno corrente, a questo punto un esito di questo genere appare dubbio anche perché altri Paesi importanti potrebbero decidere di approvare nuove limitazioni nei confronti delle cryptovalute.
Nel contempo è però probabile che numerosi investitori decidano di scommettere sulle monete virtuali in un momento in cui esse possono essere acquistate ad un prezzo relativamente basso. Del resto la decisione della Cina, che attualmente sta attraversando un momento difficile a causa della crisi di Evergrande, non farebbe altro che confermare la capacità attrattiva di questo asset.