Secondo un’inchiesta svolta negli scorsi giorni da Reuters il mining di criptovalute starebbe diventando un’attività sempre meno conveniente o, almeno, non verrebbe più percepita come proficua da un gran numero di utenti. Alla base di questo sentiment vi sarebbe il recente calo di valore subito dalla maggior parte della monete virtuali, a cominciare dal bitcoin.
Nel caso specifico di quest’ultimo, la sua attuale quotazione si aggira intorno ai 20 mila dollari, in sostanza meno di 1/3 di quello che era stato il suo valore nel momento del cambio più favorevole con la divisa statunitense. Considerando gli alti costi dell’energia e dell’hardware necessario al mining (in particolare GPU), le ragioni del momento di difficoltà appaiono chiare.
Sempre secondo Reuters questa tendenza si tradurrebbe in un abbandono progressivo dell’HODL (Hold On for Dear Life), una strategia d’investimento che suggeriva ai miners di conservare le criptovalute coniate in attesa di valutazioni più elevate rispetto a quelle attuali. In sostanza il clima di fiducia creatosi intorno a questo asset sarebbe meno forte di un tempo.
A questo punto gli analisti si chiedono quali potrebbero essere gli effetti di future correzioni verso l’alto, questo perché impovvisi aumenti di valore potrebbero convincere i miners a vendere le proprie criptovalute approfittando del momento favorevale. Ciò determinerebbe un improvviso incremento dell’offerta che potrebbe risolversi in un nuovo ribasso.
L’aumento del costo del’energia ricade negativamente sui costi legati al mining
E’ chiaro inoltre che i prezzi sempre più elevati delle materie prime non rappresentano un incentivo al mining, quest’ultima infatti è una procedura estremamente costosa che assicura rendimenti elevati soltanto nei momenti in cui la spesa per il consumo energetico si mantiene contenuta e le criptovalute minate sono interessate da fluttuazioni positive.