I ricercatori di BanklessTimes hanno provato a valutare quello che potrebbe l’impatto ambientale del mining di criptovalute nel prossimo futuro, tale attività richiede infatti una grande produzione di energia ed è sempre più diffusa nonostante i tentativi di limitarla da parte dei regolatori e le continue fluttuazioni di valore delle monete virtuali.
L’analisi è stata concentrata in particolare sui rischi correlati all’incremento del riscaldamento globale, fenomeno del quale osserviamo già oggi le conseguenze e che potrebbe essere ulteriormente esacerbate dal mining, in particolare da quello di bitcoin, con un aumento delle temperatura medie di circa 2 gradi centigradi entro il 2040.
L’impronta carbonica delle transazioni di criptovalute è altissima
Stando ai dati raccolti durante lo studio, l’impronta carbonica di una sola transazione basata sull’algoritmo Proof-of-Work della più famosa delle criptovalute corrisponderebbe a ben 841 Kg di CO2. L’impronta carbonica (o carbon footprint) è in sostanza il parametro con cui vengono stimate le emissioni di gas serra provocate dalle attività umane.
Per disporre di un termine di paragone, basti pensare che una persona che affronta un volo aereo tra Roma e Londra produce un’impronta carbonica pari a poco più di 230 Kg di CO2, a sua volta questo dato è superiore alla media annuale in termini di emissioni di un singolo abitante di uno dei 17 Paesi africani meno sviluppati economicamente.
Gli autori ricordano però che anche le dinamiche finanziarie tradizionali, cioè quelle legate alla cosiddette valute fiat, determinano un forte impatto ambientale. Bitcoin non prevede la stampa di monete cartacee e non deve essere trasportato fisicamente, a ciò si aggiunga che attualmente ben il 57% del mining viene effettuato tramite energie rinnovabili.