AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha avviato un’istruttoria nei confronti di Mountain View ipotizzando un possibile abuso di posizione dominante. La società avrebbe violato l’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea relativamente alla disponibilità e all’uso dei dati per l’elaborazione delle campagne di display advertising.
Quest’ultimo è generalmente rappresentato dallo spazio che editori e gestori di siti Internet forniscono per l’esposizione di annunci pubblicitari, nello specifico l’Authority contesterebbe alla compagnia l’utilizzo discriminatorio della grande quantità di dati raccolti tramite le proprie piattaforme, impedendo ai concorrenti nei mercati della raccolta pubblicitaria online di competere efficacemente.
Sempre secondo AGCM, Big G sembrerebbe essersi resa protagonista di una condotta di discriminazione sia interna che esterna, rifiutandosi di mettere a disposizione le chiavi di decriptazione dell’ID Google ed escludendo i pixel di tracciamento di terze parti. Contestualmente avrebbe utilizzato elementi traccianti con cui rendere i propri servizi di intermediazione pubblicitaria in grado di acquisire una capacità di targhettizzazione che alcuni concorrenti non sarebbero in grado di replicare.
Tra gli altri strumenti che consentirebbero a Google di definire dei profili dettagliati degli utenti vi sarebbero anche il sistema operativo mobile Android, il browser Chrome sia su dispositivi mobile che su Desktop, le piattaforme per la cartografia e la navigazione Google Maps e Waze nonché tutti gli altri servizi forniti con il supporto del Google ID come per esempio Gmail, YouTube e GDrive.
La raccolta pubblicitaria online costituisce, in termini di valore, la seconda fonte di ricavi del settore dei media, con un giro d’affari pari a 3.3 miliardi di euro registrato nel corso del 2019. L’istruttoria è ora mirata a comprendere se l’assenza di concorrenza nell’intermediazione del digital advertising potrebbe ridurre le risorse destinate a produttori di siti Web ed editori impoverendo la qualità dei contenuti diretti all’utenza e scoraggiando l’innovazione del settore.