Secondo un’indagine giornalistica svolta dal media britannico Guardian, Facebook avrebbe permesso ad alcuni politici e altri leader di utilizzare il proprio social network per ingannare gli utenti della piattaforma. In buona parte dei casi ciò sarebbe avvenuto tramite la creazione di pagine appositamente studiate per distribuire contenuti volti ad influenzare l’opinione pubblica.
Secondo quanto riportato dagli autori dell’inchiesta, che per condurre quest’ultima avrebbero contattato una ex collaboratrice del gruppo capitanato da Mark Zuckerberg, il sistema utilizzato da Menlo Park per arginare il fenomeno delle fake news sarebbe relativamente efficace soltanto per le realtà più importanti, ad esempio gli USA, mentre le localizzazioni di altri Paesi sarebbero ancora in preda alla disinformazione.
Tra gli esempi presentati vi sarebbero quelli di Honduras e Azerbaijan, entrambe nazioni dove sarebbe stato sfruttato ad arte il fatto che le policy di Facebook (almeno in teoria) impediscono ad un utente di attivare più account ma permettono nel contempo di creare più pagine per dar vita a quello che viene chiamato fake engagement.
Con quest’ultimo si intende una tecnica volta ad inflazionare artificialmente le statistiche di una pagina, alterando in questo modo i dati relativi alle visualizzazioni e ai follower. L’obbiettivo è naturalmente quello di incrementare la visibilità anche dando vita a campagne di cross promotion tra pagine che spesso vedono nei loro gestori le medesime persone.
Nel caso dell’Honduras, ad esempio, sarebbe stato citato il caso di centinaia di pagine create dal nulla per sostenere la Presidenza di Juan Orlando Hernández, rieletto nel 2017, che Facebook non avrebbe contrastato in modo particolarmente convinto rispetto a quanto fatto nel caso della campagna presidenziale di Donald Trump negli Stati Uniti.