Marco Gambaro, docente di Economia della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Milano, ha recentemente presentato i risultati di uno studio promosso da Aires e Ancra Confcommercio e dedicato alla "concorrenza asimmetrica". In esso si cercano di indagare le modalità con cui i grandi intermediatori commerciali come Amazon hanno modificato le modalità distributive dei prodotti.
Le Big Company agiscono in un regime che altera le regole della libera concorrenza? L’imposizione di una Web Tax sarebbe sufficiente per eliminare i disequilibri creati dai colossi che operano online? Per rispondere a tali quesiti la ricerca è stata concentrata in particolare sul mercato dell’elettronica di consumo, uno dei settori maggiormente coinvolti dal cambiamento determinato dalle piattaforme di e-commerce.
Stando ai dati di GFK, le vendite di questo comparto avrebbero prodotto in Italia un giro d’affari pari a 17 miliardi di euro nel 2018, la quota parte di fatturato del commercio elettronico sarebbe stata del 14% per poi crescere di un ulteriore punto percentuale nel 2019. Amazon assorbirebbe da sola il 65% delle vendite online, il restante 35% andrebbe invece suddiviso in circa 500 siti Web di piccole dimensioni.
Il maggior contributo al successo del gruppo capitanato da Jeff Bezos sarebbe stato dato da due fattori: la possibilità di proporre il minor prezzo per i medesimi articoli, non soltanto nelle vendite dirette ma anche tramite i dettaglianti, e la grande mole di informazioni riguardanti i comportamenti e le abitudini di consumo degli utenti.
A ciò si aggiungerebbero sovvenzioni per l’insediamento dei centri di distribuzione e, naturalmente, anche le politiche fiscali dei paesi in cui la multinazionali hanno sede legale. Stando così le cose la sola Web Tax non sarebbe utile a correggere le storture della "concorrenza asimmetrica", le realtà meno strutturate del commercio (elettronico e non) avrebbero maggiore beneficio da una legislazione più favorevole all’impresa.