Per qualche tempo, erano gli anni della pandemia di COVID-19, in molti sono stati convinti che lo smart working e in generale il remote working avrebbero sostituito gran parte del lavoro "in presenza" rendendo strutturale un cambiamento dettato da una situzione di emergenza. Risulta però abbastanza evidente che le cose non siano andate esattamente in questo modo.
Le ragioni di quanto accaduto sarebbero state riassunte di recente da Arvind Krishna, CEO del collosso IBM, secondo cui chi ancora lavora da remoto dovrebbe prendere seriamente in considerazione l’idea di tornare in ufficio. Questo perché ad oggi lo smart working potrebbe rivelarsi un pericolo per il proseguimento della propria carriera.
Da questo punto di vista il massimo dirigente della compagnia statunitense sarebbe stato molto chiaro: senza passare buona parte del proprio tempo in ufficio le possibilità di un avanzamento in IBM potrebbero essere estremamente ridotte. Ciò significa che lo smart working non rappresenterebbe la modalità più giusta per aspirare a ruoli e retribuzioni di più alto livello.
In ogni caso Krishna non sembrerebbe essere del tutto contrario al lavoro "da casa", o per estensione da un qualsiasi luogo in cui si possa operare tramite un computer e una connessione ad Internet, ma a suo parere un dipendente dovrebbe passare almeno 3 giorni alla settimana in ufficio, soprattutto quando ricopre ruoli manageriali.
Krishna non è comunque l’unico dirigente ad aver espresso le proprie riserve nei confronti dello smart working, tra gli altri troviamo anche Elon Musk (le cui posizioni contrarie ai lockdown sono ancora oggi ben note) ed Andy Jassy, l’uomo a cui è stata affidata la guida di Amazon dopo che il fondatore Jeff Bezos ha deciso di concentrarsi sui viaggi spaziali.