I responsabili del colosso dell’e-commerce Amazon utilizzano un termine molto particolare per definire i prodotti poco costosi ma dall’ingombro notevole, essi vengono chiamati CRaP (Can’t Realize a Profit). Nella maggior parte dei casi commercializzarli online non si rivela particolarmente conveniente, soprattutto a causa dei costi di spedizione.
In considerazione di queste particolari caratteristiche Jeff Bezos e soci avrebbero deciso di accollarsene quanto meno possibile la gestione, anche in considerazione del fatto che articoli di questo tipo (basti pensare alle bevande) sono impegnativi dal punto di vista dello stockaggio e spesso il guadagno generato non giustificherebbe l’occupazione di ampie aree di magazzino.
Il nuovo corso di Seattle dovrebbe quindi prevedere: sistemi più avanzati per il packaging, proprio al fine di limitare l’ingombro, spedizioni organizzate e gestite direttamente dai venditori e più spazio per i prodotti che possono garantire marginalità più elevate a chi mette a disposizione la piattaforma di vendita. In pratica Amazon stessa.
Forte di una quota di mercato pari al circa la metà del commercio elettronico statunitense, la compagnia si troverebbe ora nella posizione di poter imporre le proprie condizioni agli operatori di terze parti e, stando la sua continua tendenza alla crescita, presto anche prodotti non CRaP ma con prospettive di profitto non elevate potrebbero essere marginalizzati nel catologo dello store.
Se ciò dovesse verificarsi, e in parte starebbe già avvenendo, secondo i timori degli analisiti per alcune categorie merceologiche potrebbe iniziare un periodo di sostanziale semiesclusione dallo shopping online, con impatti potenzialmente rilevanti sul fatturato e una minore possibilità di scelta a sfavore dei consumatori.