Il Partito Comunista Cinese non ne vuole proprio sapere di Web 2.0 ed in particolare di quell’usanza molto "pericolosa" che è il video sharing su Internet; non si sa mai che tra un cartone e un saluto in Web cam passi anche qualche frame che danneggi l’immagine del Governo di Pechino.
Così le autorità, che pochi giorni fa avevano deciso di oscurare YouTube per evitare la diffusione di filmati sulla repressione della recente rivolta in Tibet, hanno ora fatto chiudere ben 25 siti dedicati alla condivisione di video in Rete.
Naturalmente tutti i portali sono stati chiusi con l’accusa ufficiale di essere un veicolo per la diffusione di materiale pornografico e violento; chissà se per violenza si intende anche il pestaggio di un monaco buddhista?