Riuniti nelle scorse ore a Venezia, i rappresentanti dei paesi che compongono il G20 hanno trovato un accordo riguardo alla cosiddetta Global Minimun Tax, un’imposta minima applicabile indipendentemente dallo stato di riferimento che imporrà alle Big Company di pagare una quota pari al 15% su quanto maturato nei mercati in cui operano.
L’esigenza di trovare una posizione comune derivava dal fatto che l’opposizione di anche uno solo un dei governi coinvolti avrebbe spianato la strada a pratiche come lo spostamento di capitali verso i paradisi fiscali. Di per sé queste ultime non sono illegali ma possono essere ostacolate se nessun Paese ne consente l’esecuzione prima dell’applicazione di una tassa approvata a livello internazionale.
A corrispondere la Global Minimun Tax dovranno essere le grandi aziende che nell’arco di un anno producono un fatturato superiore ai 750 milioni di dollari, parametro che restringe fortemente il numero dei soggetti passivi. Se tutto dovesse andare come previsto l’incasso derivante dal suo pagamento dovrebbe aggirarsi intorno ai 150 miliardi di dollari.
La bozza del provvedimento copre anche i casi in cui le società abbiano sede legale in un Paese in cui la soglia di tassazione è inferiore rispetto a quella prevista dalla Global Minimun Tax, in questo caso infatti si sarà comunque obbligati a pagare la differenza e quest’ultima potrà essere incassata dal Paese d’origine dell’azienda stessa.
A questo punto le decisioni del G20 dovranno essere passate al vaglio delle autorità degli stati che fanno capo all’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), tra i membri dell’Unione Europea vi sono però alcune realtà secondo cui il 15% sarebbe una quota troppo risicata che dovrebbe essere rivista al rialzo.