Partiamo dall’inizio: la casa editrice tedesca Bastei Lübbe aveva trascinato in tribunale un cittadino accusandolo di violazione del diritto d’autore. La citazione in giudizio, e la conseguente richiesta di risarcimento danni, era stata motivata dal fatto che quest’ultimo aveva condiviso un audiolibro di cui l’editore deteneva il copyright tramite canali P2P.
A sua discolpa il cittadino chiamato a rispondere davanti al giudice aveva sostenuto di non essere il titolare della connessione utilizzata, quest’ultima infatti era attiva a nome dei propri genitori. In sostanza, e a parere dei legali, egli non avrebbe effettuato alcuna violazione perché i mezzi utilizzati per portarla a termine non erano in suo possesso.
Per quanto tale strategia di difesa possa sembrare, se non altro, peculiare, la Corte tedesca chiamata a decidere sul caso avrebbe stabilito l’innocenza dell’imputato così come dei titolari della connessione. L’assoluzione sarebbe stata infatti motivata dal superiore principio di protezione della vita familiare, escludendo le persone coinvolte da eventuali responsabilità.
Bastei Lübbe non si sarebbe però arresa e avrebbe deciso di rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea che, una volta analizzati gli atti, avrebbe deciso di contraddire la sentenza dei giudici tedeschi e di ricordare che per le normative europee l’indicazione di un familiare come responsabile di una violazione del copyright non deve impedire alle parti lese di esercitare i propri diritti.
Al di là della complessità della vicenda, l’aspetto più importante di questo pronunciamento riguarda la prevalenza delle leggi europee su quelle locali relativamente al rispetto del diritto d’autore. Ne consegue quindi che un’assoluzione ottenuta in patria potrebbe non esaurire un processo per pirateria se in contrasto con quanto stabilito in seno all’Unione.