Nel corso dell’annuale incontro delle Banche Centrali presso Jackson Hole in Wyoming, non si è discusso soltanto di protezionismo commerciale, argomento quanto mai attuale, ma anche dei potenziali pericoli di quello che viene definito un vero e proprio monopolio nelle mani delle maggiori Web Company mondiali, Google in primis.
In sostanza le multinazionali ad alto contenuto tecnologico sarebbero oggi talmente strutturate e pervasive da riuscire a regolare qualsiasi processo di mercato. Apple, per fare un esempio, può contare su una capacità di pressione economica e politica dovuta ad una capitalizzazione che ha ormai superato il mille miliardi di dollari, molto più di diversi stati sovrani.
Storicamente le dinamiche economiche sono state regolate dall’andamento di domanda e offerta, garantendo un equilibrio (più o meno) stabile. Ora invece i prezzi verrebbero fissati sempre più spesso da degli algoritmi. Ciò finirebbe per influenzare diversi aspetti del mercato, dalla distribuzione agli acquisti, condizionando persino i tassi di occupazione
Un altro aspetto di cui tenere conto dovrebbe essere, sempre a parere dei banchieri centrali, quello dell’inflazione. In questo senso gli algoritmi di Amazon e delle altre Big Company che vendono online potrebbero favorire il verificarsi di shock, interferendo indirettamente sui prezzi di alcuni mercati come quello del petrolio e dei cambi.
Gli algoritmi utilizzati non terrebbero poi conto di alcuni indici che da sempre concorrono alla definizione dei prezzi, come per esempio le variazioni salariali che hanno un ruolo fondamentale nella formazione della domanda di beni e servizi. In futuro sarà quindi necessario tenerne conto se si vuole che il mercato virtuale rimanga saldamente ancorato a quello reale.